Albergatore di Bormio ospita 45 immigrati

Da un articolo del quotidiano “La Repubblica” del 23/4/2015

BORMIO (Sondrio). “Ognuno la vede a modo suo, ma il mondo è cambiato e io uso il buon senso: lavoro e intanto aiuto chi ha bisogno “. Settant’anni, albergatore da venti. Nato e cresciuto nella Sesto San Giovanni operaia dove ricorda che da bambino “arrivavano 100 mila immigrati e ad accoglierli c’erano le grandi industrie, la Falck, la Breda. Oggi che quelle fabbriche non ci sono più, chi li accoglie i disperati che scappano dalla miseria?”. A Bormio c’è l’hotel Stella che di stelle ne ha tre, 22 camere e 7 profughi a pensione completa a 35 euro al giorno. L’albergo di Montini (“pago l’affitto da cinque anni “) affaccia sulla rinomata via Roma i cui negozianti sono infuriati con lui perché ha accettato gli ospiti (Bangladesh, Gambia, Eritrea) inviati dalla Prefettura di Sondrio. “Mi è arrivato il fax e ho detto va bene”. Tra dieci giorni i profughi all’hotel Stella saranno 45, e apriti cielo.

Sincero. Perché ha accettato?
“Perché non si lavora più. Presenze dimezzate in due anni, gente che gira solo coi buoni delle promozioni per gruppi. Se non riempio le camere come pago l’affitto? Un conto è lavorare e un conto è stare a guardare dalla finestra. Ospitando i profughi lavoro e faccio anche un’opera buona. A 70 anni la cosa più importante è essere a posto con la propria coscienza”.

Guadagna 35 euro al giorno per ogni ospite. Vogliamo fare due conti?
“Certo. Togli le spese, il costo del personale, i 2,5 euro al giorno che devo dare a ognuno per le necessità personali, la scheda telefonica da 10 euro, la foto tessera per il permesso di soggiorno. Alla fine, esentasse, tirerò fuori 3 mila euro al mese. Con tutti”.

I negozianti dicono che ospitando i profughi ammazza il turismo
“A parte che non sono il primo albergatore valtellinese che li accoglie: altri lo fanno già da due anni. E poi cosa vuol dire? Il turismo qui è in crisi, non si lavora. È meglio riempire l’albergo o vederlo vuoto? E poi chi è disperato e scappa dalla guerra e dalla fame va aiutato”.

Le hanno dato problemi finora gli ospiti?
“Per niente, anzi. Gli unici che sono scappati sono stati gli eritrei, ma la questura me l’aveva detto. Gli altri sono bravissime persone, mi hanno ringraziato. Se potrò magari ne assumerò qualcuno. Devo solo capire bene gli aspetti burocratici”.

Se l’hanno criticata per averne ospitati 7 che cosa accadrà quando nel suo albergo c’è ne saranno 45?
“Spero niente. Spero che alla fine anche i più chiusi aprano la loro mente. Questa è una migrazione biblica iniziata dieci anni fa e che difficilmente riuscirai a fermare. Bisogna abituarsi e mettersi a disposizione. Noi commercianti, in più, abbiamo questa opportunità. Non capisco perché non accettarla. Mio figlio ha un piccolo albergo a Borgio Verezzi, 8 camere. È stato lui a dirmi che era stata una bella esperienza”.

Convinca chi teme di vedere Bormio in mano a pericolosi delinquenti in fuga dalla Libia.
“In questi giorni sento dire cose incredibili. Hanno paura che vengano qui a mangiare i bambini. A chiedere la carità. A ciondolare tutto il giorno o a rubare nelle case. Parlano senza sapere le cose, forse influenzati da certe sparate dei politici in televisione. Questi profughi sono controllati dalle forze dell’ordine. E possono essere una risorsa per Bormio”.

In che senso?
“Ho un’idea. Una volta che saranno stati messi in regola chiederò al sindaco di impiegarli per dei lavori socialmente utili. Pulire i boschi, tenere in ordine il paese, le aiole. E, ripeto, se potrò magari qualcuno lo assumo io”.

Quante persone lavorano nel suo albergo?
“Siamo in otto. Compresi io e la mia compagna. Ma il problema vero è che in due anni il lavoro è calato del 50 per cento. Davanti a questi numeri  –  meno 25 per cento nel 2013, meno 26 per cento nel 2014 sul 2013  –  come fai a dire non prendo i profughi? Il mondo è cambiato e io mi sono adeguato. E in questi giorni ho visto cose che mi hanno colpito”.

Tipo?
“I  profughi del Bangladesh, che sono islamici, e quelli del Gambia, che sono cristiani, sono diventati amici. Un gruppo affiatato. La disperazione unisce. dovremmo provarla anche noi e forse capiremmo cose che oggi facciamo finta di non volere capire”.